Vuoi stare bene, o vuoi sentirti bene?
Questa pagina è rimasta bianca davanti a me per svariati minuti. In realtà il pensiero di scrivere questa “riflessione” era dentro di me da mesi. O forse da anni. È forse tutto ciò che mi ha portato a confluire certe idee in Oukside.
Vuoi stare bene o vuoi sentirti bene?
La domanda è importante. E non ha una risposta. Per questo si tratta di una “riflessione”, che spero possa portare a fare luce - dentro di te - in ciò che vuoi quando ti approcci a un percorso di “miglioramento”, della forma fisica, del benessere, del fitness in senso lato.
Questa riflessione ha un “peso” non indifferente, si tratta di un globo non definito, che assume più le sembianze di una nebulosa. Non saprei bene da dove iniziare, ma da qualche punto devo pur iniziare e lo faccio da qui…
Misuriamo l’immisurabile
Quanto pesi? Quanto dormi? Quant’è la tua variabilità cardiaca? Quanto la tua glicemia? Quando sento porre queste domande in un contesto in cui si dovrebbe pensare ad aiutare le persone a stare bene, una parte di me muore. Ed è una parte consistente di me. Chiunque mi conosce sa quanto mi dedichi a “tutto ciò”.
Quando una persona si rivolge a un professionista per migliorare sé stesso attraverso il miglioramento del suo corpo, della sua salute e del suo benessere, e il professionista inizia con una serie di domande che rispettano una scaletta ben precisa in cui l’intento è “oggettivizzare l’inoggettivizzabile”, viene completamente mancato lo scopo per cui quella persona si trova lì dov’è.
L’ironia è che mi rendo conto, mentre scrivo questo, che la “prima spinta” che mi ha portato alla creazione di questo testo in cui verbalizzare le mie riflessioni, l’ho avuta mentre studiavo alcuni questionari di valutazione del proprio mood - stato emotivo. Valutazione numerica di qualcosa di non numerico.
Cerchiamo sempre di misurare l’immisurabile. Io sembro essere il primo a farlo. A ricercare la “numerizzazione” di ciò che non è numerizzato. Ho dato inizio allo sviluppo di un metodo che fa proprio questo, che aiuta a rispondere alla domanda “Come stai?” in termini numerici. O forse c’è qualcosa che va oltre questo?
Quando parlo di quanto siamo riusciti a fare con quella “rotellina a puntolini” che hai trovato qui e là in giro per Oukside e confluisce nel framework che abbiamo sviluppato, dico sempre che, in fondo, non conta se rispondi in modo preciso a certe domande, importa solo che tu le “veda”. Rispondervi non è cosa importante. Dare numeri lo è ancor meno.
Distratti dallo “stare”,
evitiamo il “sentire”
“Stare” si riferisce a una posizione. Una posizione distinta, ferma. Per trovare questa posizione dobbiamo confrontarci. È l’unico modo che abbiamo in questa Realtà per capire “dove stiamo” (o… “come”). Quando entriamo in un contesto - benessere, forma fisica - quello stare si trasforma. Diventa qualcosa di attaccato a qualcos’altro. Un peso, una misura, un livello, un numero. Diventa cioè qualcosa di più sovrastrutturato rispetto a ciò che “dovrebbe essere”.
Diventa complicato e facile. Capire dove stiamo in relazione a un “livello” è comodo. Ci permette di dire “Io sto qui” e concludere erroneamente “Quindi sto così”. Ci distrae dal “sentire”. Da quel turbinio di cose - cose che siamo - che non riusciremmo a decifrare, numerizzare, oggettivizzare, come si può fare misurando la glicemia o tracciando il sonno.
Evitiamo il sentire, numerizzandoci, perché è facile, è comodo. Ci permette di avere risposte, false sicurezze a cui aggrapparci. Ci permette di evitare la responsabilità della profondità, della semplicità, ci permette di crogiolarci nel riverbero di superficie e illuderci che sia “così che deve andare”...
Stare bene è complesso,
sentirsi bene è brutale
Oukside è il riferimento per “vivere bene e stare in forma”, con una modalità in cui questo “stare bene” viene spontaneo, naturale, semplice (perché ci si sente bene); in cui questo stare bene e in forma è un concetto ampio e profondo. Non è apparenza; è sostanza, è essenza.
Il credo Oukside è questo: non si può pensare (non ci si può proprio illudere di questo) di poter “raggiungere” quello stato se non si lotta per qualcosa. In maniera vigorosa, instancabile. In maniera brutale.
Questa parola, “brutale”, la sto ripetendo spesso ultimamente, ad indicare ciò che occorre accettare se si vuole “qualcosa di Bello” - qualsiasi cosa sia Bello per sé stessi (stare, e sentirsi, bene, credo lo sia).
Chi non comprende questo non ha (ancora) sviluppato una certa sensibilità e una certa consapevolezza; si muove sul riverbero superficiale di pensieri ed emozioni che stanno in profondità, ma che ancora non ha riconosciuto - è come pensare che le onde siano il mare. È chi pensa ancora che contare le Kcal sia ciò di cui ha bisogno, o una dieta o un programma di esercizi.
Non ha ancora (e, purtroppo, forse non lo farà mai) accettato di dover lottare per una causa, se vuole davvero “raggiungere” quel punto in cui stare bene è naturale conseguenza dell’essere arrivati a un certo grado di essenza - ci si sente bene.
C’è da dire che il “sistema” non dà poi molte possibilità per fare questo, con tutte le invenzioni fasulle e nefaste: le diete e i programmi per combattere questo o quello, dai tumori all’infiammazione, i dispositivi di tracciamento del sonno e del glucosio, le tecnologie per incasellarsi in un modello corporeo o - peggio - per tracciare “come dovrebbe essere” la propria vita, e così via. Vere e proprie aberrazioni devianti per evitare la fatica di sviluppare pensiero critico e andare un po’ più a fondo…
Qui la responsabilità è personale. Non si può delegare. Bisogna accettare che andare a chiedere a qualcuno “Come faccio a vivere bene?” ricevendo come risposta “Fare una certa dieta / o la meditazione / o lo yoga” è squallido e stupido, disfunzionale e tossico. Bisogna accettare la responsabilità che si deve prima capire qual è la lotta cui ci si vuole unire e che non ci sarà un “esito” finale, un “epilogo” positivo, un “ritorno”, un “risultato”. Il benessere sarà dato dal lottare stesso, non da qualcosa di materiale. Anzi, il benessere sarà IL lottare stesso.
Non so se queste mie parole appariranno come le parole di uno che “crede troppo”, visionario, idealista, anti-conformista. So solo che chi vuole realmente quell’essenza, semplice, per vivere bene e stare in forma - nell’accezione che comprende ogni possibile sfumatura di questa terminologia (e, cioè, sentirsi bene) - farebbe bene a sviluppare il “suo credo”, nonché l’accettazione della “brutalità” di lottare per esso.
Altrimenti, tutto si riduce a “vivere” nel riverbero di superficie, e non “essere” altro che sciatto brusio di sottofondo.