Le intolleranze alimentari e i test per valutarle sono una bufala. Le allergie, invece...

Questo articolo ti interessa anche se non hai allergie o intolleranze alimentari: è uno spunto di riflessione su come il tuo corpo funziona e come puoi usare queste informazioni a tua vantaggio, o possono essere usate contro di te per cercare di venderti bufale. 

Prima di avventurarci a spiegare perché le intolleranze alimentari e i test per valutarle sono quasi sempre una bufala, dobbiamo capire cosa sono le intolleranze alimentari e come si differenziano dalle allergie.

Allergia o intolleranza alimentare?

Inizio subito col dire che un’allergia o un’intolleranza alimentare è qualsiasi fenomeno provochi una reazione avversa a stimoli che non dovrebbero generarla (e.g. mangi un certo cibo → ti viene uno sfogo sulla pelle). La differenza tra allergia e intolleranza alimentare non è tanto nella reazione, quanto nella modalità con cui queste reazioni vengono messe in atto dall’organismo.

Un’altra cosa importante da dire subito è che nonostante circa una persona su tre (cioè il 30% delle persone) ritenga di essere allergica a certi alimenti, l’incidenza effettiva delle allergie alimentari nella popolazione adulta è pari all’1-2%. Le intolleranze, invece, riguardano una percentuale più ampia, anche se non è facile stimarne l’incidenza, vista la notevole variabilità diagnostica e sintomatologica.

Cosa sono le allergie alimentari

Un’allergia alimentare è una reazione avversa a una o più molecole, contenute in un certo alimento, che il sistema immunitario riconosce come estranee e quindi tenta di debellare. Queste molecole sono definite allergeni o antigeni, e nella quasi totalità dei casi sono rappresentate da materiale proteico (Turnbull et al, 2015).

Le allergie alimentari più frequenti sono dovute ad allergeni presenti in determinati alimenti, che comunemente sono: latte vaccino, soia, anacardi, nocciole, noci, arachidi, gamberi, vongole, uova, grano. Le allergie alimentari possono essere dovute anche ad alcuni additivi che si comportano da allergeni chimici e scatenano la reazione immunitaria.

Un allergene, che nella maggioranza delle persone è del tutto innocuo, nel soggetto allergico innesca una catena di reazioni mediate dal sistema immunitario, tra cui la produzione di anticorpi, che a loro volta determinano il rilascio di molecole organiche (istamina in primis), responsabili dello sviluppo di sintomi quali prurito, tosse, affanno, etc.

Cosa sono le intolleranze alimentari

Le intolleranze alimentari non coinvolgono il sistema immunitario, ma sono causate da carenze di particolari enzimi o recettori. Queste carenze, provocando alterazioni nell’assorbimento dei nutrienti, innescano la sintomatologia tipica, generalmente a livello gastro-intestinale. Si potrebbe quindi dire che un’intolleranza alimentare coinvolge il metabolismo, ma non il sistema immunitario, a differenza di un’allergia alimentare in cui, invece, è implicato il sistema immunitario (Lomer, 2015).

L’esempio classico è l’intolleranza al lattosio, il principale zucchero del latte. Chi soffre di intolleranza al lattosio ha una carenza di lattasi (o beta-galattosidasi), l’enzima digestivo che scinde questo zucchero (disaccaride) in glucosio e galattosio (monosaccaridi), permettendone la digestione e l’assorbimento a livello dell’intestino tenue.

Quando l’attività dell’enzima lattasi è ridotta, il lattosio arriva integro o quasi nell’intestino crasso, dove subisce la fermentazione da parte dei batteri lì presenti. Questo porta a flatulenza, crampi e diarrea (Misselwitz et al, 2013).

La celiachia

In merito ad allergie ed intolleranza alimentari, la celiachia rappresenta un’eccezione e merita un paragrafo a parte. Pur essendo mediata dal sistema immunitario, la celiachia può essere caratterizzata da insorgenza, evoluzione e sintomatologia molto diverse rispetto alle altre allergie alimentari. La malattia celiaca o sprue celiaca (detta anche enteropatia da glutine), infatti, è definita intolleranza permanente al glutine; in particolare, l’intolleranza riguarda la frazione gliadinica del glutine. Non va confusa, comunque, con l’allergia al grano o con l’ipersensibilità al glutine non-celiaca.

In chi ha celiachia, l’ingestione di quantità anche minime di glutine (è sufficiente il contatto di un cibo con glutine o utilizzare un utensile da cucina con cui è stato cucinato un alimento con glutine), innesca una risposta immunitaria che può essere violenta, e causare nel tempo gravi alterazioni dell’intestino tenue, soprattutto nel tratto iniziale, con conseguenti serie forme di malassorbimento. 

Una persona con celiachia, quindi, deve necessariamente escludere il glutine dalla propria dieta per tutta la vita, nonché prestare attenzione alla contaminazione (usare utensili da cucina - padelle, mestoli, posata - propri). Questo non solo per preservare la mucosa intestinale, ma anche per prevenire lo sviluppo di altre malattie autoimmuni, come Tiroidite, Artrite Reumatoide e Diabete.

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Capite le differenze tra allergie e intolleranze alimentari, approfondiamo separatamente i due temi con ulteriori dettagli utili.

Allergie alimentari

Incidenza e fattori di rischio

Come già accennato, l’incidenza effettiva delle allergie alimentari è decisamente inferiore alla percezione media delle persone. Secondo studi clinici effettuati in doppio cieco (assunzione alternata dell’alimento e di un placebo, senza che né pazienti né medici fossero a conoscenza dell’ordine di somministrazione), è stato stimato che le allergie alimentari si manifestano nell’1-2% della popolazione adulta. 

L’incidenza delle allergie alimentari è maggiore nei bambini piccoli (3-7%), ma nell’80-90% dei casi l’ipersensibilità si risolve entro il terzo anno di età. In particolare, le allergie infantili all’uovo e al latte vaccino scompaiono nella maggioranza dei casi, mentre le allergie a pesce, molluschi, noci e legumi tendono a protrarsi per tutta la vita. Per questo, parlando ai genitori, sarebbe bene non escludere per sempre certi alimenti dalla vita di un bimbo se si scopre che ne ha elevata sensibilità, ma aspettare qualche anno così da rifare test e accertamenti accurati.

La presenza di casi allergici in famiglia rappresenta uno dei principali fattori predisponenti alle allergie alimentari. Se un genitore è allergico, il rischio dei figli di sviluppare un’allergia alimentare è due volte superiore rispetto a figli di genitori che non hanno allergie alimentari. Se entrambi i genitori hanno allergie, questo rischio aumenta da 4 a 6 volte (Cochrane et al, 2009).

Secondo alcuni studi, l’allattamento al seno, comparato con l’alimentazione artificiale, ridurrebbe il rischio di allergia alimentare. Inoltre, in neonati con parenti stretti che soffrono di allergie alimentari, sembra che il solo allattamento al seno per 46 mesi sia sufficiente a fornire una certa protezione (Sánchez-García et al, 2015). 

In ogni caso, le allergie alimentari sono un po’ come la peste per Renzo ne I promessi sposi: a chi la tocca, la tocca. Non è realmente possibile comprendere perché alcune persone sviluppano allergie e altre no, meglio concentrarsi su cosa fare una volta che è stata accertata la presenza di allergia.

Le manifestazioni delle allergie alimentari

Un’allergia alimentare non insorge all’improvviso. La sintomatologia conclamata, infatti, è sempre preceduta dalla fase di sensibilizzazione. Del resto, tutti gli alimenti sono, di fatto, estranei per l’organismo. A far funzionare l’organismo nonostante ogni giorno ingeriamo chilogrammi di materiale estraneo, vi sono il GALT (Tessuto Linfoide Associato all’Intestino) e un fine meccanismo che limita la permeabilità della mucosa intestinale, regolando il passaggio di oligopeptidi e aminoacidi derivanti dalla digestione delle proteine.

Quando uno o entrambi questi meccanismi non funzionano, si sviluppa l’allergia alimentare. In una reazione allergica dovuta ad allergeni alimentari, l’organismo produce la categoria di anticorpi noti come immunoglobuline E (IgE). Le IgE, a loro volta, reagiscono con l’allergene, scatenando una reazione con i mastociti nei tessuti e i basofili nel sangue (mastociti e basofili sono cellule del sistema immunitario).

I mastociti rilasciano istamina e altre sostanze, tra cui leucotrieni e prostaglandine (pro-infiammatorie), che provocano i sintomi allergici, localizzabili a livello di naso, gola, bronchi, polmoni, pelle e/o tratto gastrointestinale. Il decorso della reazione dipende da molti fattori, e la gravità è variabile. In un numero limitato di casi (spesso correlati a un’allergia alle arachidi), si può verificare la reazione nota come shock anafilattico, potenzialmente letale.

Intolleranze alimentari

Come anticipato, il meccanismo alla base di un’intolleranza alimentare è la carenza di enzimi o recettori necessari per processare un particolare composto presente in un certo alimento; non prevede, quindi, il coinvolgimento del sistema immunitario.

Per le intolleranze alimentari, occorre fare un’ulteriore distinzione tra intolleranze di origine metabolica e intolleranze di origine farmacologica.

Intolleranze alimentari di origine metabolica

Tra le intolleranze alimentari di origine metabolica rientra l’intolleranza al lattosio (da non confondere con l’allergia alle proteine del latte). Spesso, l’intolleranza al lattosio insorge in età adulta a causa di un progressivo e fisiologico calo dell’attività dell’enzima lattasi. In molti casi, il deficit di lattasi è solo parziale, e la quantità di lattosio tollerata può variare nel tempo e in modo soggettivo.

Per fare diagnosi di intolleranza al lattosio, poiché i sintomi sono gastrointestinali, e quindi comuni a quelli delle allergie alimentari, è necessario effettuare il Breath test, e associarlo alla ricerca delle IgE nel sangue (RAST, ELISA, o CAP-RAST test). In generale, è possibile contrastare i sintomi dell’intolleranza al lattosio riducendo o eliminando il consumo di latte e alcuni suoi derivati, senza necessariamente dover escludere l’intera categoria dei latticini dalla dieta.

Si può, infatti, ricorrere al latte delattosato, in cui il lattosio è già stato scisso in glucosio e galattosio (può quindi essere assorbito dalle cellule dell’intestino tenue) e, in dipendenza dal grado di intolleranza, si possono consumare senza grossi rischi anche yogurt (in cui la fermentazione scinde fino al 98% del lattosio), formaggi a pasta dura, semi-stagionati e stagionati (esempi classici: il Parmigiano Reggiano, il Pecorino, il Grana Padano), poiché contengono minime tracce di lattosio grazie al processo di stagionatura.

Per le persone più sensibili, è bene evitare tutti gli alimenti che contengono lattosio a seguito della lavorazione industriale, come alcuni insaccati, biscotti e moltissimi prodotti confezionati e da forno. C’è da dire che, in caso di intolleranza al lattosio, per godersi un buon pasto in compagnia, dal momento che è difficile escludere tutti i cibi senza lattosio quando si mangia fuori o nelle occasioni, si può pensare di assumere lattasi in comode compresse tramite integratori specifici.

📑 Le intolleranze metaboliche rare

Rientrano tra le intolleranze di origine metabolica alcune intolleranze rare e pericolose, come la galattosemia e le aminoacidopatie fenilchetonuria e tirosinemia. Se non vengono riconosciute con indagini mirate entro i primi giorni o mesi di vita, il rischio di alterato sviluppo per il neonato è molto alto. Se opportunamente diagnosticate, però, hanno un decorso benigno, anche se condizionano pesantemente lo stile di vita per il fatto di dover seguire una dieta controllata e restrittiva (van Vliet et al, 2014).

Intolleranze alimentari di origine farmacologica

Le intolleranze alimentari di origine farmacologica possono causare insonnia, tachicardia, emicrania e/o reflusso gastroesofageo a seguito dell’assunzione di xantine (come caffeina, teofillina e teobromina) presenti in caffè, the e cioccolato, o amine vasoattive (come istamina, tiramina, serotonina e feniletilamina), di cui sono ricchi pesce in scatola, salsicce, crauti, camembert, taleggio, brie, gorgonzola, groviera, salumi, aringhe, tofu, crauti, banane, cioccolato, birra, e alcuni vini (Chianti e Vermouth).

Merita un cenno anche l’ipotizzata intolleranza al glutammato monosodico o MSG (semplicemente detto glutammato di sodio), nota come sindrome da ristorante cinese. La presunta intolleranza al MSG è caratterizzata da sintomi prevalentemente gastrointestinali. Tuttavia, sulla diagnosi di questa intolleranza non vi è ancora una chiara evidenza scientifica, e molti correlano i sintomi all’occasionalità e/o all’eccesso del consumo di glutammato di sodio, come accade quando si va al ristorante cinese.

🤔 Esiste l’intolleranza al lievito?

Un’altra intolleranza di cui si sente tanto parlare è quella ai lieviti. In questi casi, in realtà, dietro gonfiore, flatulenza e crampi addominali, vi è quasi sempre una condizione di disbiosi della microflora intestinale. In particolare, sarebbe l’aumento di microorganismi dei generi Candida, Aspergillus o Penicillium a innestare il disequilibrio. Prima di parlare di intolleranza, quindi, bisognerebbe provare a ristabilire l’equilibrio del microbiota intestinale attraverso l’alimentazione e l’uso di un supplemento probiotico e prebiotico.

Diagnosi di allergie e intolleranze alimentari

Quanto detto finora ci fa intuire che diagnosticare allergie e intolleranze alimentari non è affatto semplice. E non è ancora tutto! Ma procediamo con ordine, e cerchiamo di capire dapprima quali test possono aiutare a capire se hai un’allergia o un’intolleranza alimentare, quali test devi evitare perché fuorvianti oltreché inutili, ma anche che riflessioni sarebbe bene tu facessi prima di avventurarti in un mondo in cui è facile trovarsi al cospetto di colossali bufale.

Per fare una diagnosi degna di tale nome (escludere tutto ciò che non è, cosicché quello che resta è presumibilmente il problema alla base), bisogna sempre includere sia un’attenta anamnesi individuale e famigliare, sia test specifici. Questo ti fa già capire che effettuare i test è necessario per fare diagnosi di allergia o intolleranza alimentare, ma non è sufficiente: serve conoscere la tua storia (cos’hai fatto nel tempo) e le tue abitudini quotidiane (cosa fai e cosa farai).

Qualunque altro metodo diagnostico, tanto più se promette risultati in tempi rapidi, dovrebbe farti drizzare le antenne anti-bufale.

Test di valutazione

Nella prima fase della procedura diagnostica, è bene sottoporsi a un esame fisico completo. Dopodiché, il Medico o l’Allergologo potrà effettuare l’anamnesi, prestando particolare attenzione a tipologia e frequenza dei sintomi, cercando di mettere questi ultimi in relazione al consumo di determinati alimenti. Successivamente, si può passare ai test di seguito presentati.

Test cutanei

Sulla base dell’anamnesi nutrizionale, gli alimenti sospetti possono essere testati attraverso l’uso di test cutanei, presentati qui sotto. Il valore di questa categoria di test è molto controverso, e i risultati non sono del tutto affidabili. I test cutanei sono:

  • Skin prick test. Si inserisce sottocute, mediante una piccola puntura, una goccia della soluzione contenente l’antigene, e si verifica l’eventuale comparsa di una reazione di prurito e/o gonfiore.

  • Patch test. Si mette l’alimento a diretto contatto con la cute, si effettua un leggero sfregamento e si verifica l’eventuale comparsa di una reazione di prurito e/o gonfiore.

Test di laboratorio

Più affidabili dei precedenti, i test di laboratorio vengono effettuati direttamente sul sangue. Richiedono pertanto un prelievo di sangue per dosare le IgE sieriche specifiche per i vari allergeni o alimenti. In ordine di quanto sono sensibili, i testi di laboratorio per allergie o intolleranza alimentari sono: il RAST, l’ELISA, il CAP-RAST FEIA e l’Immunoblotting (Hoffmann-Sommergruber, 2015).

Questi test, pur essendo molto validi per una diagnosi certa, non determinano il grado di sensibilità dell'alimento incriminato: in poche parole, ti dicono se sei allergico o intollerante, non quanto.

Altri test

In alcune strutture (principalmente Ospedali) è possibile effettuare l’Oral challenge, o scatenamento orale, detto anche Test di Provocazione. L’alimento sospetto viene somministrato per os (via orale, cioè viene fatto mangiare) e si verifica l’insorgenza di reazioni.

Un test sicuramente valido, ma sicuramente anche difficile da realizzare, è il Test in Doppio Cieco con Controllo di Placebo (DBPCF). In questa procedura, si somministra l’allergene sospetto, precedentemente inserito in una capsula o nascosto in un alimento, e se ne osservano gli effetti sotto stretto controllo medico.

Diete a esclusione o eliminazione

La dieta a esclusione si basa sull’eliminazione di un alimento o di una combinazione di alimenti sospetti per almeno 2 o 3 settimane. Trascorso questo periodo, se i sintomi scompaiono, si procede re-inserendo i cibi sospetti uno alla volta, partendo da quantità ridotte e tornando gradualmente alla dose standard. Il processo è lungo perché occorre testare tutti i cibi sospetti, ma almeno dà un risultato con una certa tangibilità perché effettuato nel contesto delle tue abitudini quotidiane (non in ambienti ospedalieri o di laboratorio in ristretti intervalli di tempo).

Test da evitare

Negli ultimi anni, si sono diffusi altri test, a dir poco non convenzionali, se non proprio “magici”, fondati su teorie prive di alcun fondamento scientifico. Analizzeremo di seguito alcuni di questi test “bufale”, facendo però una precisazione: questi sono i principali in cui incapperai se cercherai test per intolleranze alimentari; di test bufala ce ne sono tantissimi altri, e tantissimi altri probabilmente ce ne saranno. 

Per non sbagliare, tieni a mente quali sono i test attendibili (vedi paragrafi precedenti) e che, a parte casi di allergia alimentare in cui come tocchi l’alimento incriminato stai male, tutti quelli sottosoglia e le intolleranze alimentari si prestano a una marea di errori. 

Test di Kinesiologia Applicata come il DRIA

Test secondo cui il contatto con la mucosa orale di un’opportuna soluzione di alimento è in grado di determinare una caduta di forza muscolare ripetibile ad ogni prova con lo stesso alimento, che presenterà particolari caratteristiche dinamometriche; tale variazione di forza viene registrata da un computer. Il test è stato ideato dall’Associazione di Ricerca per le intolleranze alimentari (ARIA). Non è supportato da nessuna base fisiopatologica e studi ne dimostrano l’inefficacia rispetto al placebo (Ludke et al, 2001; Schwartz et al, 2014; Ortolani et al, 1999). 

Test elettrodermici come il Vega Test e test di biorisonanza

In questi test l’apparecchio è in grado di misurare le alterazioni del flusso corporeo dell’energia elettromagnetica lungo i meridiani agopunturali. Un recente studio in doppio cieco ne ha dimostrato la totale inefficacia (Lewith et al, 2001).

Con la Biorisonanza si ha la possibilità di registrare le onde elettromagnetiche “buone” o “cattive” che non solo l’essere umano, ma anche le varie sostanze, fra cui gli allergeni, emettono. L’apparecchio avrebbe la possibilità di filtrare le supposte onde negative, guarendo la persona. Gli strumenti usati sono dei semplici galvanometri. Anche in questo caso studi controllati ne hanno dimostrato la totale inefficacia nella diagnosi di sensibilità alimentari (Schöni et al, 1997).

Test citotossico ALCAT

Lanciato con la promessa di identificare le ipersensitività non IgE mediate, il test si basa sull’osservazione dei globuli bianchi che, messi a contatto con i potenziali allergeni, si gonfiano fino alla rottura della membrana cellulare in caso di positività. In base a quanto si gonfiano o se esplodono verrebbero definiti diversi gradi di intolleranza.

È la versione più sofisticata del test Leucocitotossico il cui utilizzo è stato fermato negli USA da un’azione governativa dopo un parere negativo da parte dell’American Academy of Allergy, Asthma and Immunology (AAAI) (Committee of Public Health, 1988). Una review dei principali studi riguardanti il test citotossico ha concluso che non vi è efficacia nella diagnosi di reazioni avverse agli alimenti (Lehman, 1980).

Test IgG (o IgG4)

Valutano la presenza nel sangue di una sottoclasse di anticorpi IgG, in particolare IgG4 e dovrebbero essere in grado di rivelare l’intolleranza verso un gran numero di alimenti. Il problema è che la presenza di questi anticorpi non prova l’esistenza di una reazione avversa all’alimento: è fisiologico che il corpo produca IgG nei confronti dei cibi comunemente introdotti, senza reazioni avverse all’alimento. Il livello di questi anticorpi si correla con la regolare ingestione dei corrispettivi alimenti. Anche in questo caso diversi studi dimostrano l’inefficacia e l'inappropriatezza di questi test come mezzi diagnostici (Atkinson et al, 2004; Carr et al, 2012).

Intolleranze, test e “cervello”

Alla luce di questo excursus è perentorio un ragionamento. Chiunque abbia eseguito o abbia avuto a che fare con questi test avrà notato che i risultati di positività ricadono sempre su alcune tipologie alimentari: latticini, frumento, zucchero, pomodoro, lievito, uovo e additivi. Già da una lettura veloce di queste sette parole non si può che notare quanto queste categorie alimentari siano alla base della dieta quotidiana occidentale.

Considerato che la specie umana si è evoluta consumando numerose varietà di cibi, con poca ripetitività e sovraccarico da un singolo alimento, non sorprende che un organismo che si trovi ad affrontare tutti i giorni grandi quantità degli stessi antigeni alimentari possa manifestare degli stati più o meno infiammatori legati ad essi.

Questo significa che se mangi sempre e solo una cerchia ristretta di alimenti, e da un certo momento in poi noti sintomi quali flatulenza, disturbi gastrointestinali, se non fastidi cutanei o peggio, non puoi parlare di intolleranza alimentare o allergia alimentare: prova, piuttosto, a variare la tua alimentazione e capire se quei sintomi scompaiono riducendo la frequenza d’uso massiva di quella stretta cerchia di alimenti.

Ma c’è di più…

Forse è PNEI? Anche no…

Nell’attuale visione del corpo si è perso il suo carattere di sistema uno e complesso, così tanto che abbiamo inventato una materia per ricordarcelo: la Psico Neuro Endocrino Immunologia (PNEI), che studia l’interazione tra i vari sistemi in cui abbiamo diviso il nostro corpo. Ciononostante, non riusciamo ancora a cogliere il tutto e veniamo facilmente indotti a credere che cose come le intolleranze alimentari siano dovute a un alimento specifico.

Per capire che non è così, immaginiamo questo scenario: prendiamo dei topolini e dividiamoli in 3 gruppi, mettendoli in 3 gabbie differenti; chiamiamo i topolini, rispettivamente, i Tossici, i Ricreativi, i Santi e le gabbie il Circo, la Piazza, la Chiesa.

Diamo quindi eroina per 1 mese ai topolini, in questo modo:

  • Ai Tossici, nel Circo, una dose grande (diciamo 3 mg);

  • Ai Ricreativi, nella Piazza, una dose media (diciamo 1.5 mg);

  • Ai Santi, in Chiesa, una dose nulla (0 mg).

Adesso organizziamo una grande festa, dando ai topolini una dose enorme di eroina (diciamo 6 mg) che ci aspettiamo li ucciderà per overdose. Essendo la loro ultima sera, permettiamo ai topolini di sparpagliarsi nelle varie gabbie, cosicché in ogni gabbia - Circo, Piazza e Chiesa - ci sarà un mix di Tossici, Ricreativi e Santi.

Che cosa succederà? I topolini moriranno tutti, vista la dose letale di eroina? Ne morirà una percentuale egualmente distribuita in base all’abitudine precedente? No, succederà qualcosa di differente e straordinario, cioè:

  • I Santi moriranno tutti (poiché per niente abituati all’eroina e noi avremo dato loro una dose letale).

  • Dei Ricreativi, moriranno tutti quelli che avranno assunto la dose di 6 mg nel Circo e nella Chiesa, ma non nella Piazza: di quelli rimasti nella Piazza, infatti, ne moriranno il 60-70%.

  • Dei Tossici, moriranno tutti quelli che avranno assunto la dose di 6 mg nella Piazza e in Chiesa, ma non nel Circo: di quelli rimasti nel Circo, infatti, ne moriranno il 20-30%.

Prima di aiutarti a trarre delle conclusioni da queste osservazioni, voglio precisarti che questo esperimento - presentato in modo giocoso dando nomi a gabbie e topi - è stato fatto realmente (Siegel et al, 1982). L’esperimento è un brillante esempio di come l’ambiente altera il modo in cui il nostro corpo (non solo quello dei topolini) risponde a una certa sostanza. È lo stesso motivo per cui, se mangiare pizza in una giornata normale a casa ti provoca fastidi, quando la mangi tra risate in compagnia in un ambiente gioviale (o in vacanza), con notevole sorpresa ti svegli che stai benissimo.

Per cui, considera il nemico che più odii: il lattosio, il glutine, il formaggio, la farina bianca, le uova, il pomodoro… E inizia a chiederti, facendo mente locale sulle volte che hai avuto certi sintomi dopo aver mangiato alimenti che contenevano il tuo allergene nemico: dove mi trovavo? con chi ero? che umore avevo? quanto stavo pensando a quello che mangiavo o quanto stavo semplicemente lì a godermelo?

È per questo motivo che, nella stragrande maggioranza dei casi, le intolleranze alimentari e i test per valutarle sono bufale: se analizzi esclusivamente la risposta del corpo a una sostanza in un contesto specifico che non ha a che fare con cosa fai e dove sei abitualmente, escludi - sbagliando - ogni altra variabile che influenza quella risposta nei contesti a te comuni.

Hai un’allergia o un’intolleranza?

Se scopri di avere un’allergia alimentare, è molto semplice: devi necessariamente eliminare il cibo incriminato dalla tua dieta, spesso anche dall’ambiente circostante, e in alcuni casi prestare particolare attenzione anche a contaminazioni di utensili e stoviglie usate per cucinare il cibo che contiene il tuo nemico allergene.

Se scopri di avere un’intolleranza alimentare, invece, è opportuno fare delle prove su quantità e modalità con cui puoi consumare i cibi incriminati. Come hai capito nel paragrafo sul “cervello”, è opportuno infatti fare una profonda riflessione su quanto tutto ciò che non è l’alimento incriminato, influenza la risposta del tuo corpo quando mangi l’alimento incriminato.

In linea di massima, il tempo che rischi di buttare a ricercare l’intolleranza alimentare che ti hanno detto potresti avere o le sue cause, sarebbe meglio investirlo a consolidare la consapevolezza della risposta del tuo corpo in relazione non tanto al cibo incriminato, ma al modo in cui lo consumi (tempistiche, ambiente, compagnia, umore).

💡 Non confondere intolleranza alimentare con... (in)digestione

Presta attenzione: ci sono cibi a cui, naturalmente, il tuo corpo risponde in modo differente rispetto a come risponde il mio corpo o il corpo di qualcun altro.

Magari tu fai fatica a digerire un certo tipo di verdura, se ti forzi a mangiarla noti del gonfiore, se continui accusi problemi intestinali, se perseveri vedi brufoli, problemi della pelle, stanchezza e quant'altro. Quella non è intolleranza, è digestione.

O, per meglio dire, variabilità inter-individuale di gestione dei componenti dei vari alimenti (Walther et al, 2019). Il tuo buon senso ti suggerirà di evitare quell'alimento o mangiarlo in limitate dosi e/o sporadicamente; non ti serve altro.

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