Delimitare i propri confini: saper dire di No ti fa stare meglio e più in forma!
Quando si parla di benessere e forma fisica si pensa molto spesso a come migliorare la dieta o qual è il programma di esercizio fisico più idoneo. Si pensa poco a fattori che sembrano meno tangibili, ma che in realtà sono molto più pratici di quanto si creda.
Uno tra questi è la creazione di “confini” solidi della propria identità, che portano a migliorare l’autostima attraverso un accresciuto senso di sé.
Sé, autostima e benessere
Una bassa autostima si associa a basso benessere (Du, 2017; Orth & Robins, 2022). La correlazione potrebbe essere vista in modi differenti. Ovvero, una persona con bassa autostima potrebbe prendersi meno cura di sé e di conseguenza avere basso benessere. Oppure, il basso benessere causato in qualche momento della vita dall’incapacità di prendersi cura di sé potrebbe portare a meno autostima.
Ma non è solo questo.
Scienziati e Ricercatori di calibro (un paio di esempi: Soresi, Sapolsky) ci hanno fatto capire che la mente ha effetti tangibili sul corpo. La bassa autostima determina un certo umore che porta a una certa produzione di neurotrasmettitori e ormoni che agiscono in senso biologico. Quando la tua autostima aumenta, l’umore positivo porta a un’aumentata produzione di Serotonina e Noradrenalina, che, oltre a darti la carica per affrontare al meglio gli impegni, favoriscono la circolazione sanguigna aumentando la salute del sistema cardiovascolare.
Qualsiasi sia la direzione e la modalità della correlazione - se l’autostima porta alla cura di sé e questo aumenta il benessere, o se agisce direttamente - è chiaro che la bassa autostima non aiuta per stare bene e in forma. La domanda che sorge è quindi come aumentare l’autostima.
La risposta non può avere una singola dimensione. È esperienza di tutti che l’autostima aumenti come derivato di altro, non per forza attraverso un “programma” per aumentare l’autostima. Ad esempio, una persona poco in forma che si prende l’impegno di mettersi in forma e riesce nel risultato, alla fine si troverà anche con più autostima.
(Qui ci sarebbe da chiedersi: l’autostima era già aumentata intangibilmente prima del percorso, facendo sì che la persona lo intraprendesse, o dopo che il percorso ha prodotto certi risultati? Ci teniamo questa riflessione per un altro momento.)
Senso di sé e confini personali
In questo specifico articolo parliamo di autostima e senso di sé. Il senso di sé dipende in larga misura da quanto siamo bravi a delimitare i nostri confini. Che significa prenderci i nostri spazi, pur senza invadere quelli degli altri. Spesso chi ha confini labili non riesce a dire di No o esprimere le proprie intenzioni e, se vi riesce, poi vi rimugina per molto tempo dopo.
C’è qualcosa di profondamente culturale in questo. Da piccoli siamo abituati a “essere gentili”, fino al punto da non riuscire più a capire quando è il caso di porre dei limiti. Ultimamente, poi, si cita molto spesso la parola empatia, senza capirla fino in fondo. Si pensa che prodigarsi per gli altri a tutti i costi significhi “essere empatici”.
Invece, esiste anche un tipo di empatia che è “rovinosa” (Scott, 2017): quella in atto quando si è troppo delicati da non permettere alla persona che abbiamo di fronte di migliorarsi. Se una persona a te cara veste una combinazione di colori che è un pugno in un occhio per una festa in cui tu avevi dato un certo dress-code, è poco empatico dirle “È già Carnevale?”, ma è rovinoso sorriderle e far finta di niente per paura di urtare la sua sensibilità.
L’approccio efficace eppure empatico è quello di accettare il suo gusto, ma far capire che non incontra il tema della serata. Una frase come “Per questa sera ti consiglio qualcosa di più sobrio” potrebbe fare al caso; attenzione, invece, all’uso di script di apertura come “È il tuo gusto e lo rispetto, ma…” e di chiusura come “...secondo me, eh”, molto più manipolatori di quanto si pensi.
(Lo stesso vale per i confronti: al posto di dire “Rispetto il tuo parere, ma…” è meglio dire “Io penso invece…”; ed evitare frasi come “È il mio parere” - è ovvio che il parere sia di chi parla.)
Sincerità radicale
È proprio ai confini dell’empatia che si delimitano i confini (gioco di parole voluto), senza ledere gli altri. Kim Scott, nell'eccellente libro Radical Candor (tradotto in Sincerità radicale), fornisce un framework facile da usare per capire a cosa puntare in questi termini:
Un asse riguarda la cura che si ha del prossimo, in termini umani, che va da completa indifferenza se non proprio odio, a cura nella sua espressione pura. Un asse riguarda l’assertività che si esprime, che va da scarsa capacità di dire la propria a superbia e supponenza. I due assi creano 4 quadranti:
Empatia rovinosa: quella descritta prima, quando “tutto va bene” e questo porta a svantaggi per tutti.
Manipolazione non sincera: quando si cerca di convincere gli altri a fare qualcosa utile solo per sé stessi, ma facendo credere sia per loro vantaggio.
Aggressività fastidiosa: il comportamento di chi pungola su caratteristiche personali, criticando la persona piuttosto che le sue azioni.
Sincerità radicale: la modalità di approccio più idonea, quella in cui si mostra cura umana e al tempo stesso si comunica apertamente.
L’ordine è dal peggiore al migliore in termini di effetti su autostima e relazioni. La “troppa” empatia ha effetti peggiori rispetto alla manipolazione. Perché, quantomeno, nello scenario di manipolazione non sincera, c’è attività, non passività. L’empatia rovinosa è, infatti, ciò che facilmente porta alla passivo-aggressività: il comportamento spesso associato a battutine e giri di parole, magari sarcastici, per aggredire in modo subdolo. È inoltre l’aspetto che, più di tutti, lede il nostro di benessere (Du, 2017).
Prenderti i tuoi spazi è dura, ma puoi fare così
Come fare, quindi, a prendersi i propri spazi ma senza ledere quelli degli altri, per stare bene noi e al tempo stesso non passare per i burberi di turno? Non è per niente facile. Ma da qualche parte possiamo (e dobbiamo) iniziare.
(Oltre agli insight dell’articolo che stai leggendo e di quanto trovi nella descrizione del fattore chiave Identity, ti consigliamo la lettura dei libri Boundaries e Your Perfect Right, pietre miliari sul tema dello “stabilire i propri confini”.)
Aspetti socioculturali e confini
Trattare questo punto è doveroso. In certi contesti la forte impronta dei valori di amicizia, famiglia, condivisione viene mischiata con il diritto all’individualità. Avere confini ben definiti - cioè saper dire di No quando ce n’è bisogno e non sentirsi in difetto o in colpa per questo - non significa ledere quei valori.
Si può avere piacere a stare soli e in solitudine, non per questo avere scarsa capacità di stare in compagnia. Spesso il conflitto interiore che abbiamo è dovuto a stereotipi che ci portiamo addosso, come se voler stare da soli in un certo momento escludesse la possibilità di voler stare in compagnia in un altro momento.
I miei spazi, i tuoi spazi
Il conflitto che nasce quando iniziamo a prenderci i nostri spazi personali è se prendendo i nostri spazi stiamo togliendo qualcosa agli altri. Questo tipo di ragionamento è però deleterio. Perché, sì, prenderci i nostri spazi li toglie agli altri. Il punto non è se prenderci i nostri spazi li toglie agli altri, ma se questo sia “giusto” e quanto degli spazi altrui sia effettivamente “altrui”.
Spesso, nell’essere sempre a disposizione, accettare ogni compromesso, stiamo dando i nostri spazi agli altri. Se vogliamo delimitare i nostri confini, si tratta “solo” di riprenderci questi spazi. È, tra l’altro, in linea con l’idea di promuovere il benessere di ognuno, compresi noi stessi: se diamo (troppo) spazio agli altri, lo togliamo a noi, e lediamo il nostro benessere.
Iniziare a “mettere paletti”
Le emozioni possono essere usate come strumenti per delimitare i nostri confini (Weidman & Kross, 2021). Nel momento in cui ti trovi a dover dire di no o far capire una tua intenzione, proverai una serie di sensazioni. Prendi nota di esse così da tornarci a riflettere in un secondo momento. Una sensazione di discomfort o fastidio o ansia ti segnala che devi cambiare qualcosa. Nel momento in cui ti fermi a rifletterci, pensa a come avresti voluto che le cose fossero andate. Quindi, stabilisci una sorta di regola comportamentale di massima che ti indichi cosa fare in situazioni simili che si presenteranno in futuro. Esploriamo uno ad uno questi 3 step.
Prendi nota delle sensazioni interne
Se sei tra le persone che si fanno (troppe) domande nel momento in cui dichiarare i loro intenti, molto probabilmente dichiararli è qualcosa che ha un certo peso per te. Discomfort, ansia e turbinii interni rimbombano in te quando stai per comunicare cosa vorresti o non vorresti.
Un esempio banale potrebbe essere questo: di lì a pochi minuti avevi programmato il tuo allenamento e nello stesso momento un amico ti scrive per andare a prendere un caffè. Cosa fare? Tenere fede al tuo programma o andare a prendere il caffè? Hai solo un’oretta e mezza a disposizione tra impegni e lavoro, quindi devi fare una scelta, non puoi fare tutt’e due le cose.
Per molte persone questo passaggio è facile, sia in un verso (dire di no all’amico, ci si vedrà un’altra volta), sia nell’altro (dire di no all’allenamento, lo si programmerà l’indomani). Per molte altre no: rinunciare al caffè le fa sentire in difetto rispetto all’amico; rinunciare all’allenamento le fa sentire in colpa per aver saltato una sessione.
Nota: è ovvio dipenda anche dal tipo di allenamento e di amicizia; se ci si sta preparando per una competizione o l’allenamento è una componente fondamentale della propria giornata; se quell’amico vive a migliaia di km di distanza ed è lì di passaggio; se si ha poca flessibilità di orari in altri momenti, e così via.
Non concentrarti sullo scenario specifico. Concentrati sulle volte che hai sentito una difficoltà a dichiarare le tue intenzioni. Potremmo aggiungere dettagli allo scenario, ad esempio che l’allenamento puoi farlo solo in quel momento (hai un Personal Trainer che ti ha dato appuntamento), che l’amico è disponibile anche altri giorni, e così via. Ma questo ridurrebbe la possibilità di creare una “regola generale” applicabile a più scenari.
Stabilisci le tue regole di comportamento
Una volta che hai preso nota delle sensazioni interne, ci puoi ragionare con calma. L’aspetto cruciale è chiederti come avresti voluto fosse andata. Talvolta ci si frustra auto-accusandosi con un “Non doveva andare così! 😤”. Sembra una cosa negativa, eppure è un primo passo: se non volevi andasse com’è andata, allora come volevi che andasse? Trasforma quel “non doveva andare” in “avrei voluto che”.
Su questo, stabilisci le tue “regole” di condotta o comportamento (possiamo chiamarle “strategie di copeing”). Una regola, ricalcando l’esempio sopra, potrebbe essere: “Una volta programmato l’allenamento, vado a farlo qualsiasi cosa succeda” o, al contrario, “Se un amico mi chiama per un caffè, cascasse il mondo mi preparo e vado”. La scelta, ovviamente, dipende dalle priorità, le possibilità e le caratteristiche di personalità.
Se non puoi stare senza fare allenamento (priorità), però hai una settimana flessibile e sai con certezza di poterlo fare l’indomani (possibilità), allora potrai anche scegliere di prendere il caffè, a patto che tu sia una persona che non accusa i cambiamenti nella sua routine (personalità).
Caratteristiche di personalità
Molte persone criticano gli altri per scelte che loro avrebbero fatto diversamente. Ma bisogna considerare la diversità di ognuno. Tali diversità sono quelle descritte dai 5 grandi tratti di personalità. In particolare, riguardo al fare allenamento o prendere il caffè anche se si ha una giornata flessibile, il tratto interessato è il Bisogno di stabilità VS Disponibilità al cambiamento. Ci sono persone con un forte bisogno di stabilità che, nonostante possano avere una certa flessibilità, hanno bisogno di mantenere (per lo meno in certi ambiti) forti abitudini, pena un senso di malessere generalizzato.
Sviluppa i punti di non compromesso
È bene avere regole, ma è bene sapere fin dove seguirle. Stabilita la regola “Cascasse il mondo, faccio allenamento”, è eccessivo seguirla se un tuo famigliare o caro ha un’urgenza grave e ha bisogno del tuo aiuto. Un po’ meno eccessivo, ma comunque fuori luogo, sarebbe seguire quella stessa regola se l’indomani avessi una consegna importante di lavoro che non puoi permetterti di mancare (ad esempio, ti licenzierebbero se la mancassi).
Stabilite le tue regole, è bene sviluppare attorno ad esse dei “punti di non compromesso”, quelli sotto i quali la regola va seguita senza se e senza ma. Si tratta, in sostanza, di chiedersi fino a che punto ha senso seguire una certa regola e quando, invece, è necessario trovare un compromesso. Per cose non così nette come quelle citate prima (urgenza del famigliare, scadenza di lavoro), ad esempio un amico che non vedevi da tempo che ti chiama per un caffè, i punti di non compromesso si basano - come già detto - su priorità, possibilità e caratteristiche.
Potrebbe essere vero che ti farebbe piacere andare a prendere un caffè al posto di fare allenamento, che ne avresti le possibilità, ma anche che il senso di malessere successivo sarebbe superiore al benessere ottenuto perché tu sei una persona fortemente abitudinaria. Questo fa sì che la tua regola “Faccio allenamento cascasse il mondo” abbia per non compromesso “Il caffè con un amico non è per me sufficiente a distogliermi dall’allenamento”.
Non basta affidarsi al proprio senso?
Sì. E no. Non sempre abbiamo la lucidità di ascoltarci. A volte le decisioni vengono prese in pochi istanti. In quegli istanti non c’è tempo di vagliare il proprio senso e capire cosa ci suggerisce. Per questo è utile stabilire e sviluppare regole e loro sfumature. Ci permette di decidere, in un momento di velocità, in base a ciò che abbiamo già vagliato piuttosto di scegliere qualcosa che ci porta a rimuginare dopo (“Avrei voluto andasse diversamente!”).
D’altro canto, tieni presente che tutto questo fa parte di un processo. Capito come vorresti che le cose andassero, stabilite le tue regole di comportamento e sviluppati per esse i vari punti di non compromesso, non aspettarti che le situazioni che “avresti voluto andassero diversamente” spariranno dall'oggi al domani.
Ci saranno giorni in cui riuscirai ad esprimere le tue intenzioni, sentendoti un po’ in colpa ma senza che questo ti faccia rimuginare troppo; altri in cui, invece, starai lì a pensarci e ripensarci; altri ancora in cui tornerai in vecchi schemi e ti troverai a dire di sì quando avresti voluto dire di no o viceversa. Arrivare al punto in cui prendere decisioni nette senza rimuginarci troppo dopo è impossibile (non sarebbe umano…). L’ideale è arrivare a quel punto in cui i vari Sì / No generano un fastidio transitorio che finisce là e non "rimbomba", sapendo che - in ogni caso - ci saranno degli alti e bassi fisiologici.
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