Fame vera, fame emotiva e sensi di colpa: come smettere di litigare col cibo

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Capita così: giornata “in riga”, pasti leggeri e controllati, magari anche allenamento. Poi arriva la sera. Divano, serie, telefono in mano. A un certo punto spunta un pensiero preciso: “Mi ci vorrebbe proprio qualcosa di buono”.

Apri la dispensa “solo per guardare” e ti ritrovi con biscotti, cioccolato o snack in mano. A volte è una piccola parentesi, altre volte diventa una specie di mini‑abbuffata a luci basse. Quasi sempre si chiude allo stesso modo: “Ho rovinato tutto. Da domani basta”.

Quello che chiami “fame” non è sempre la stessa cosa.

A volte è fame fisica vera, legata al fatto che hai mangiato poco o in modo poco soddisfacente. A volte è un misto di emozioni, stanchezza, noia, bisogno di comodità. Altre volte è la testa che parla: regole, divieti, sensazione di essere stata/o “brava/o” o “sbagliata/o”.

In questo articolo non trovi trucchi per “uccidere la fame”, ma una mappa per:

  • distinguere fame fisica, fame emotiva e fame “mentale” o abitudinaria;

  • capire come funzionano sfizi e voglie (soprattutto la sera);

  • ridurre i sensi di colpa legati al cibo, senza cadere nel “chi se ne frega”;

  • usare protocolli semplici per uscire dal ciclo restrizione → sfogo → colpa.

Non c’è da diventare perfetti, ma più lucidi e gentili con te stessa/o.

Per chi è / Non è

Per chi è:

  • se fai spesso fatica a capire se hai davvero fame o se stai cercando altro;

  • se alterni giorni “perfetti” a serate in cui senti di perdere il controllo e poi ti punisci;

  • se hai il classico sfizietto dopo cena e non capisci se è fame, abitudine o consolazione;

  • se ti capita di sentirti più gonfia/o di sensi di colpa che di quello che hai mangiato.

Non è per chi:

  • sta affrontando un disturbo del comportamento alimentare già diagnosticato (qui serve un lavoro dedicato con Psicologo/a o Psichiatra);

  • cerca solo una lista di cibi “permessi/vietati” per la fame emotiva, senza toccare regole, contesto e emozioni;

  • vuole un metodo per non sentire mai più fame o voglia di qualcosa di buono (obiettivo irrealistico e anche poco umano).

Puoi comunque usare questa guida come cornice di ragionamento; se senti che la sofferenza è più profonda, il passo in più è parlarne con un/una Professionista.

In breve: cosa trovi qui

  • Esistono diversi tipi di fame: fisica, emotiva, mentale/abitudinaria. Non vanno trattate tutte allo stesso modo.

  • Le regole rigide (“questo mai”, “oggi sono stata/o bravissima/o”) spesso aumentano la fame emotiva e gli episodi di perdita di controllo.

  • Il senso di colpa non protegge: tende a spingerti verso altri eccessi e compensazioni, non verso più equilibrio.

  • Pasti costruiti meglio, un margine per gli sfizi e qualche strumento di consapevolezza riducono la frequenza degli episodi di fame emotiva.

  • Non devi “meritarti” il cibo: puoi usare il cibo con più flessibilità, senza che ogni deviazione diventi un processo a te stessa/o.

Princìpi: capire che fame è

1. Non tutta la fame nasce nello stomaco

Quando dici “ho fame”, potresti descrivere tre esperienze diverse.

Alcune ricerche mostrano che questo modo di usare il cibo non è “scritto nel DNA” in modo fisso: spesso si sviluppa nel tempo, soprattutto in adolescenza, quando ormoni, ambiente familiare e modelli che hai visto iniziano a spingere verso il cibo come regolatore rapido di emozioni spiacevoli.

  1. Fame fisica
    È quella che senti nello stomaco e nel corpo:
    • è graduale, aumenta con il passare delle ore dall’ultimo pasto;
    • potresti mangiare cibi diversi, non solo una cosa super specifica;
    • arriva più o meno in linea con il tuo ritmo di pasti abituale.

  2. Fame emotiva
    È legata soprattutto a stati interni come stress, noia, frustrazione, solitudine:
    • arriva spesso all’improvviso;
    • chiede quel cibo lì (quel tipo di dolce, quel salato, quel gelato);
    • ha un legame riconoscibile con la giornata che hai avuto o con quello che stai vivendo.

  3. Fame mentale/di testa
    È alimentata da regole, divieti, convinzioni su cosa dovresti o non dovresti mangiare:
    • è la voce che dice “me lo sono meritata/o”, “oggi ho rovinato tutto”, “domani digiuno”;
    • può attivarsi anche senza veri segnali di fame fisica;
    • spesso nasce solo dal pensiero di un cibo (vederlo, annusarlo, ricordarselo).

Nessuno di questi tipi di fame è “sbagliato” di per sé. Il problema nasce quando tratti tutto allo stesso modo: o ti imponi di resistere a ogni impulso, o assecondi automaticamente qualsiasi voglia.

2. Fame fisica vs fame emotiva: segnali diversi, risposte diverse

Un modo semplice per distinguerle è fare caso a tre cose: dove la senti, quanto è urgente, che fine fai dopo.

  • Se è fame fisica:

    • senti un vuoto nello stomaco, un calo di energia, magari un po’ di irritabilità;

    • accetteresti alimenti diversi, non solo una cosa iper‑specifica;

    • dopo aver mangiato ti senti più stabile, non colpevole.

  • Se è fame emotiva:

    • senti più un “prurito mentale” che una sensazione nello stomaco;

    • hai bisogno di qualcosa che ti coccoli, ti distragga, ti anestetizzi un po’;

    • dopo aver mangiato, l’emozione spesso è ancora lì e si è solo aggiunto il senso di colpa.

  • Se è fame mentale:

    • hai appena pensato a un cibo o l’hai visto in giro e senti che “ti manca”;

    • il dialogo interno è pieno di “dovrei” e “non dovrei”;

    • spesso compare dopo giorni molto rigidi o dopo aver etichettato alcuni cibi come “pericolosi”.

Nella pratica reale i confini non sono sempre netti: puoi avere fame fisica e voglia di consolarti; puoi essere stanca/o, avere mangiato poco e trovarti con tutta e tre le fame accese insieme.

Il punto non è etichettare ogni episodio, ma allenare una domanda nuova: “Che tipo di fame sento adesso?”. Da lì cambia la risposta.

3. Le regole rigide alimentano la fame emotiva

Molte strategie “di controllo” sul cibo si trasformano, nel tempo, in benzina per la fame emotiva. Alcuni esempi:

  • saltare sistematicamente la colazione “per risparmiare calorie” e arrivare a cena stremata/o;

  • stabilire giornate perfette e giornate “libere” che diventano spesso valvole di sfogo;

  • trattare alcuni alimenti come se bastasse toccarli per ingrassare.

Più la tua alimentazione è piena di regole rigide, più aumenta la restrizione cognitiva: non è il tuo stomaco a decidere, ma un elenco di “sì” e “no” che ti gira in testa. Studi su emotional eating e peso mostrano che proprio questa combinazione di restrizione cognitiva + uso del cibo per gestire le emozioni è collegata a più episodi di eccesso e più difficoltà nel mantenere i risultati nel tempo. Quando la tensione sale (per stanchezza, stress, frustrazione), è più facile passare dall’obbedienza totale al “tanto ormai…”.

Il paradosso è che queste stesse regole sembrano, all’inizio, “ordine e disciplina”. In realtà producono spesso:

  • più episodi di perdita di controllo;

  • più preoccupazione costante per il cibo;

  • più rischio di usare il cibo come valvola di sfogo.

Non serve passare dall’estremismo di controllo al “mangio tutto senza criterio”. Serve un terzo spazio: regole elastiche, contestualizzate, che includono anche piacere e flessibilità.

4. Il senso di colpa non ti tiene sulla strada, te la fa abbandonare

Molte persone sono convinte che il senso di colpa sia una specie di guardrail: “Se mi sento abbastanza in colpa, la prossima volta starò più attenta/o”. Nella pratica succede quasi sempre l’opposto.

Il ciclo classico è:

  1. fase di controllo rigido (“Questa settimana perfetta, zero sgarri”);

  2. episodio di sfogo o di semplice deviazione;

  3. senso di colpa (“Non valgo niente”, “Non ho forza di volontà”);

  4. tentativo di compenso drastico (digiuno, allenamento punitivo, altre regole rigide);

  5. nuova accumulazione di tensione → nuovo sfogo.

Il senso di colpa non ti aiuta a capire cosa è successo, cosa ti serviva davvero, cosa puoi aggiustare. Ti fa solo sentire sbagliata/o e ti spinge a riproporre le stesse strategie che ti hanno portato lì.

Al contrario, un approccio più adulto è farsi domande tipo:

  • “Com’ero messa/o prima di finire nel frigo?”

  • “Che tipo di giornata ho avuto?”

  • “Cosa posso cambiare nella struttura dei prossimi giorni, invece di punirmi?”

Qui non si tratta di scusarsi per tutto, ma di spostare l’energia dalla condanna alla comprensione.

5. Programmare gli sfizi è più efficace che inseguirli

Uno dei punti più delicati è il “qualcosina dopo cena”.

Se lo vivi come crimine, tenderà a spuntare:

  • quando sei più stanca/o;

  • in quantità maggiore;

  • con la sensazione di “tutto o niente”.

Se, invece, lo consideri parte del quadro, puoi decidere come e quando usarlo. Alcune possibilità pratiche:

  • prevedere 2–3 spazi a settimana in cui sai già che ci sarà qualcosa di più goloso;

  • decidere cosa vuoi davvero (quel gelato, quel dolce, quel pezzo di pane con crema spalmabile) invece di arraffare tutto quello che vedi;

  • mangiarlo seduta/o, in un contesto minimo di attenzione, non solo davanti allo schermo mentre scrolli compulsivamente.

Lo stesso ragionamento vale per periodi come le feste, compleanni, weekend fuori. Il problema non è il pandoro o il panettone in sé, ma l’idea che “tanto nel periodo delle feste è tutto perduto” e dopo dovrai espiare. Se sai che in certi giorni ci saranno dolci importanti, puoi:

  • smettere di fare la gara a chi mangia meno tutto il giorno “per meritarseli”;

  • costruire pasti che ti arrivano sazia/o al momento del dolce;

  • ricordarti che il tuo corpo non resetta ogni 24 ore a mezzanotte.

Programmare lo spazio per il piacere è meno romantico che “lasciarsi andare”. Ma è molto più efficace.

6. La fame emotiva non si risolve solo nel piatto

È rassicurante pensare che basti cambiare dieta per cambiare il rapporto con cibo e emozioni. Ma la fame emotiva è collegata anche a:

  • carico di stress cronico;

  • sonno scarso o molto irregolare;

  • relazioni tese o solitudine prolungata;

  • mancanza di spazi in cui ti senti ascoltata/o.

Se il cibo è l’unico posto in cui ti senti autorizzata/o a mollare la presa, è normale che venga chiamato in causa ogni volta che qualcosa pesa.

Due precisazioni importanti:

  • non è “colpa tua” se hai usato il cibo come ammortizzatore;

  • non sei obbligata/o a continuare a usarlo come unico strumento.

Lavorare sulla fame emotiva spesso significa:

  • imparare a riconoscere le emozioni prima che esplodano sul piatto;

  • chiedere aiuto quando serve (amici, partner, Professionisti);

  • costruire micro‑spazi di respiro nella giornata, non solo grandi progetti di cambiamento.

Il piatto è un pezzo della storia, non tutta la storia.

Cosa dicono le evidenze (in parole semplici)

Senza trasformare l’articolo in una review tecnica, è utile capire alcune cose che emergono dagli studi su fame emotiva, sensi di colpa e comportamento alimentare.

  • La fame emotiva si impara nel tempo
    In molte persone la tendenza a mangiare di più quando si sta male non nasce nell’infanzia ma più avanti, soprattutto in adolescenza. All’inizio, con emozioni negative, spesso cala l’appetito; è solo in certe condizioni (ormoni, ambiente familiare, modelli che abbiamo visto) che il cibo diventa una strategia per calmarsi o distrarsi.

  • Emotional eating, regole rigide e ambiente pieno di stimoli viaggiano insieme
    La combinazione di diete molto restrittive, disponibilità continua di cibi iper‑palatabili e uso del cibo per regolare emozioni spiacevoli è collegata a più episodi di eccesso e a maggior difficoltà nel mantenere il peso stabile nel tempo.

  • Il cervello di chi tende alla fame emotiva reagisce in modo diverso al cibo gratificante
    In alcune ricerche di neuroimaging, donne che riferiscono di mangiare spesso in risposta alle emozioni mostrano una maggiore attivazione delle aree di ricompensa (prima e durante l’assaggio di un alimento molto piacevole) quando sono di umore negativo, rispetto a chi non usa il cibo in questo modo. Questo non significa avere un cervello “rotto”, ma aiuta a capire perché, in certi stati, alcuni cibi sembrano avere un richiamo speciale.

  • I cibi ultraprocessati sono progettati per essere difficili da gestire
    Molti prodotti industriali combinano in modo mirato grassi, zuccheri, sale, consistenza e aromi per raggiungere il cosiddetto bliss point, il punto in cui il cibo è massimo piacere prima di diventare troppo. Questo sfrutta gli stessi circuiti di ricompensa che ci aiutavano, in passato, a cercare cibi energetici in un ambiente povero di risorse. Oggi, in un ambiente dove questi cibi sono ovunque, la “semplice forza di volontà” non basta sempre.

  • Cibo molto gratificante e dipendenze condividono alcuni circuiti, ma non sono la stessa cosa
    Parte dei circuiti cerebrali coinvolti nella risposta alle droghe (per esempio, quelli dopaminergici mesolimbici) si attiva anche con cibi molto gratificanti. Questo spiega perché alcuni pattern possono diventare rigidi e difficili da cambiare, soprattutto quando il cibo è l’unico strumento che usi per modulare lo stato interno. Non significa che “lo zucchero è una droga” in senso letterale, ma che vale la pena prendere sul serio il contesto in cui mangi.

  • Imparare a riconoscere la fame fisica può cambiare come mangi
    Interventi che insegnano a mangiare quando compaiono segnali specifici di fame fisica (e non solo in base all’orologio o all’umore) hanno mostrato miglioramenti nell’equilibrio energetico e in alcuni indicatori metabolici. Allenare la domanda “che fame è?” non è solo filosofia: può tradursi in scelte diverse sul medio‑lungo periodo.

  • Attribuire tutto alle emozioni è comprensibile, ma non basta
    In diversi studi, molte persone che riprendono peso dopo una dieta attribuiscono il regain a motivi emotivi (“quando sono stressata/o mangio di più”). È una parte reale della storia, ma non l’unica. Limitarsi a colpevolizzare le emozioni senza rivedere struttura dei pasti, contesto e strategie di gestione dello stress rischia di portare verso l’ennesimo giro di restrizione → sfogo → colpa.

Quello che ti interessa, alla fine, è questo: non sei sbagliata/o perché a volte usi il cibo per gestire le emozioni, ma puoi ampliare gli strumenti e rendere più favorevole l’ambiente in cui ti muovi.

Protocolli: come renderlo pratico

1. Mini‑check “che fame è?” (30 secondi)

Quando senti il desiderio di mangiare, prima di andare in cucina fermati mezzo minuto e chiediti:

  1. Da quanto non mangio?
    Se sono passate molte ore e l’ultimo pasto era molto leggero, è probabile che ci sia fame fisica.

  2. Mangerei anche qualcosa di semplice?
    Se mangeresti volentieri anche pane, frutta, un piatto normale, è più facile che sia fame fisica. Se invece l’unica risposta accettabile è un certo tipo di dolce/snack, è più facile che ci sia una componente emotiva.

  3. Com’ero messa/o cinque minuti fa?
    Stanca/o morta/o? Annoiata/o? In ansia? Arrabbiata/o? Oppure semplicemente a fine intervallo tra due pasti?

Non devi fare l’analisi del profondo ogni volta. Ma questo mini‑check può già spostarti da reazione automatica a risposta scelta. E non è solo buon senso: esistono programmi che insegnano proprio a riconoscere con più precisione i segnali di fame fisica, con effetti positivi sull’equilibrio energetico nel tempo.

2. Strutturare la giornata per meno fame emotiva

Alcuni aggiustamenti di base riducono la probabilità di trovarti ogni sera a lottare con la dispensa.

  • Evita di “risparmiare troppo” durante il giorno
    Saltare sempre la colazione o tenere pranzi minuscoli “così la sera posso concedermi qualcosa” ti porta spesso esausta/o alla sera.

  • Dai spazio a pasti soddisfacenti
    Non solo insalatine tristi e yogurt magri: inserisci proteine, una quota di grassi sensati, carboidrati gestiti, verdure. Se i pasti sono sempre poveri e freddi, lo sfogo serale diventa quasi inevitabile.

  • Pianifica momenti di ricarica non legati al cibo
    Anche una passeggiata breve, dieci minuti di aria o un messaggio a una persona che ti fa stare bene possono ridurre il peso che cade tutto sul cibo.

Non stai “barando” se organizzi la giornata per arrivare meno scarica/o alla sera. Stai costruendo un contesto più favorevole.

3. Gestire lo sfizietto dopo cena

Se la sera, dopo cena, senti regolarmente la voglia di qualcosa di buono, puoi scegliere tra tre strade pratiche.

Strada A – Sfizio programmato
Decidi in anticipo 2–3 sere a settimana in cui è previsto un piccolo dolce, un gelato, un pezzo di cioccolato, una fetta di torta. Lo inserisci nel totale settimanale, non come “furto” ma come parte della tua alimentazione.

Strada B – Sfizio ridimensionato
Se senti la voglia proprio quella sera ma non era programmata:

  • prendi una porzione reale, non il pacco intero;

  • siediti a tavola o sul divano, ma con il piatto, non con il sacchetto aperto;

  • prova a mangiarlo senza scroll infinito in sottofondo.

Strada C – Rimando consapevole
Quando senti la spinta fortissima ma hai il dubbio che sia più nervosismo che fame:

  • concediti 10–15 minuti di “buffer” (respiro, doccia, tè caldo, due pagine di libro);

  • se dopo quei minuti la voglia c’è ancora, puoi soddisfarla con più calma.

Non sempre serve rimandare, non sempre serve assecondare. L’obiettivo è che sia una decisione tua, non di un autopilota.

4. Come gestire “il giorno dopo” senza punirti

Dopo una serata in cui hai mangiato più del previsto, puoi scegliere tra due strade:

  • strada della punizione: digiuno drastico, cardio infinito, lista di divieti ancora più rigida;

  • strada della riparazione adulta: torni a una struttura sensata, aggiusti un po’ il tiro, ma non resetti tutto.

Alcuni esempi pratici di “giorno dopo adulto”:

  • fai colazione/pranzo normale, anche se una parte di te vorrebbe saltarli per “recuperare”;

  • curi l’idratazione, il movimento, la qualità dei pasti invece di fissarti sui numeri;

  • ti chiedi cosa puoi imparare da ieri (stanchezza? pochi pasti veri? giornata pesante?) e fai un micro‑aggiustamento.

Il tuo corpo non è un dossier giudiziario. È più un sistema che risponde alla direzione media, non al singolo evento. Gli studi su chi riprende peso dopo una dieta mostrano che attribuire tutto alle emozioni e reagire con nuove restrizioni drastiche tende a mantenere il ciclo, non a spezzarlo.

Segnali da osservare (e quando fermarsi)

Segnali che stai andando nella direzione giusta

  • Riconosci più spesso che fame è prima di agire.

  • Hai meno episodi di mangiare “in trance” e più momenti in cui scegli consapevolmente.

  • Il numero di serate chiuse con sensi di colpa si riduce, anche se i tuoi sfizi non sono scomparsi.

  • Ti capita più di pensare “ok, non è stato il massimo, ma posso rientrare in carreggiata” invece di “ho rovinato tutto”.

Segnali da tenere d’occhio

  • Continui ad avere episodi frequenti di perdita di controllo (mangiare in fretta, fino a stare male, senza riuscire a fermarti).

  • Il pensiero sul cibo occupa una parte enorme delle tue giornate, indipendentemente da cosa stai facendo.

  • Usi spesso il movimento solo per “bruciare” quello che hai mangiato, non per stare meglio o mantenerti attiva/o.

Red flag / Quando confrontarti con un/una Professionista

  • Hai episodi ricorrenti in cui mangi grandi quantità di cibo in poco tempo, con forte sensazione di perdita di controllo.

  • Usi in modo ripetuto vomito autoindotto, lassativi, digiuni prolungati o altri comportamenti estremi per compensare.

  • Il tuo peso sta cambiando molto in poco tempo e in modo che ti preoccupa.

  • Il tema del cibo e del corpo ti genera sofferenza intensa e interferisce con lavoro, studio, relazioni.

In queste situazioni il passo più coraggioso non è “stringere i denti”, ma chiedere un supporto competente (Medico, Psicologo/a, Nutrizionista con esperienza in questo ambito).

FAQ Fame emotiva e sensi di colpa

Come faccio a capire se è fame vera o solo voglia di qualcosa di buono?
Chiediti da quanto tempo non mangi, se mangeresti anche qualcosa di semplice e che stato emotivo avevi cinque minuti prima. Se accetteresti quasi qualsiasi cibo e sono passate diverse ore dall’ultimo pasto, è probabile che ci sia fame fisica. Se hai bisogno solo di quel cibo lì e la giornata è stata molto pesante o noiosa, è più probabile che ci sia anche una componente emotiva.

Se smetto di sentirmi in colpa non rischio di lasciarmi andare?
Il senso di colpa non è l’unico freno che hai a disposizione. Anzi: spesso ti porta a compensi drastici e a nuovi episodi di eccesso. Puoi sostituire la colpa con responsabilità: invece di insultarti, ti chiedi cosa è successo, cosa puoi cambiare e come rientrare nei tuoi obiettivi senza punizioni estreme.

Gli sfizi serali fanno sempre ingrassare?
Dipende da quanto spazio occupano nel quadro generale. Uno sfizio inserito in un’alimentazione sensata, con pasti soddisfacenti e movimento, difficilmente “rovina tutto”. Una sequenza quotidiana di grandi quantità mangiate sempre oltre la sazietà, vissute come fuga o anestesia, ha un impatto diverso. Non è il singolo biscotto dopo cena, ma come e quanto spesso lo usi.

Meglio non tenere in casa dolci e snack per non essere tentata/o?
Può essere utile in alcune fasi ridurre la quantità di cibo ultra‑goloso sempre a portata di mano, ma non puoi costruire una vita solo su ambienti sterili. L’obiettivo non è eliminare ogni stimolo, ma imparare a gestirlo meglio. Puoi lavorare sia sull’ambiente (cosa tieni in casa) sia sulle strategie con cui rispondi alle voglie.

È utile fare più sport il giorno dopo uno “sgarro”?
Muoversi fa bene a prescindere, ma usare l’allenamento come punizione non aiuta. Se ogni volta che mangi qualcosa in più devi “espiare” con cardio infinito, è facile che il movimento perda di senso e diventi un peso. Meglio tornare a una routine di attività fisica che abbia significato per te, senza trasformarla in un tribunale.

Se ho fame emotiva significa che non so gestire le emozioni?
No. Significa che, in questo momento, il cibo è uno degli strumenti che usi per modulare quello che provi. A volte è il meno peggio rispetto ad altre strategie più rischiose. Puoi iniziare a costruire una cassetta degli attrezzi più ampia: persone con cui parlare, attività che ti ricaricano, strumenti per scaricare lo stress. Il cibo non deve essere l’unico interruttore.

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Debora Oro

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