Cos’è davvero il “cibo vero”? Biscotti, dopamina e scelte che funzionano per te

Mi capita di tanto in tanto di fare una cosa semplice: a fine pasto, qui e là, inserisco 2–3 biscotti.

Quello che osservo in me è questo: la mia mente è molto più “resistente” a usare biscotti più goduriosi (cookies con gocce di cioccolato, frolle burrose…) rispetto ai biscotti qualificati come più “salutari” (integrali, ai cereali, all’avena). Anche se, per le quantità in gioco, la differenza reale sul corpo è minima.

Se ti riconosci, non è perché sei strana/o. È perché il cervello umano funziona a scorciatoie: “questo è cibo vero”, “questo è cibo finto”, “questo è sano”, “questo è sgarro”. Scorciatoie che a volte aiutano, a volte incasinano.

In Oukside ci siamo chiesti più volte: “Cos’è il cibo vero?”. Non nel senso scialbo “clean vs junk”, ma come domanda seria su come mangi, come ti senti e come usi il cibo nella vita di tutti i giorni. Quando abbiamo messo sul tavolo esperienze, casi reali ed evidenze, è emerso un quadro molto diverso dalla solita religione del “pulito”.

Questo articolo è il nostro mini–manifesto sul cibo vero: ti aiuta a capire cosa metti davvero nel piatto (e nella testa) quando scegli cosa mangiare, oltre le etichette e le mode.

Per chi è / Per chi non è

Per chi è:

  • per te che ti trovi a litigare con “cibo sano” vs “cibo godurioso” anche quando le quantità sono piccole;

  • per chi sente di avere una buona base di alimentazione, ma si perde in sensi di colpa per biscotti, gelati, snack;

  • per chi vuole usare meglio gli alimenti ultra–processati e super appetibili, senza demonizzarli e senza farli stare al volante;

  • per chi vuole una lente più adulta di “cibo vero” rispetto al solito pollo–riso–broccoli.

Per chi non è:

  • per chi cerca una lista bianca/nera di “10 cibi veri” e “10 cibi finti” da seguire alla lettera;

  • per chi vuole una scusa elegante per trasformare ogni pasto in un festival di junk “perché tanto tutto è relativo”;

  • per chi non ha nessuna curiosità nel guardare come usa il cibo a livello emotivo e di abitudini.

In breve

  • La differenza tra 2–3 biscotti integrali e 2–3 biscotti più goduriosi è piccola se li inserisci dentro una struttura che tiene: è il pattern complessivo che fa la differenza.

  • Molti prodotti “ai cereali”, “integrali”, “proteici” si portano dietro un health halo: ti sembrano automaticamente più sani e “meno da sgarro”, e rischi di mangiarne di più senza accorgertene.

  • In Oukside usiamo “cibo vero” non come bollino morale, ma come cibo che funziona per il bisogno reale, in quel contesto, senza trascinarti in loop compulsivi.

  • Le evidenze non dicono “industriale = male” e “fatto in casa = bene”: mostrano che una dieta piena di cibi ultra–processati iper–appetibili, usati come base di tutto, si associa a più problemi nel tempo.

  • L’obiettivo non è eliminare il “cibo non vero”, ma sapere dove lo metti, perché lo usi e fino a che punto ti è utile.

Princìpi: cosa intendiamo per “cibo vero”

1. Tutto il cibo è lavorato, ma non tutto è progettato per farsi mangiare senza freni

Non esiste, nella vita reale, il cibo “uscito dalla foresta” così com’è.

Lavare, tagliare, cuocere, condire sono tutte forme di lavorazione. Il problema non è “naturale vs industriale” in senso assoluto, ma che cosa aggiungi, togli o concentri quando lavori un alimento.

Una cosa è usare lavorazioni che rendono il cibo più sicuro, digeribile e pratico (congelare, pastorizzare, impastare). Un’altra cosa è disegnare prodotti iper–palatabili: combinazioni di zuccheri, grassi, sale e consistenze studiate per farsi mangiare oltre il tuo normale stop interno.

“Cibo vero”, in questa lente, non è il cibo che nessuno ha mai toccato, ma quello che non è stato progettato contro di te.

2. Cibo vero è cibo che funziona per il bisogno reale, nel contesto

Lo stesso alimento può essere “vero” o no a seconda del momento.

Se hai fame fisica, sei scarica/o e stai preparando il pranzo, 2–3 biscotti super goduriosi “al volo” prima di mangiare possono essere più vicini al cibo tappo: ti danno botta, ti tolgono un po’ di fame, ma ti spostano verso scelte peggiori dopo.

Se invece a fine pasto metti 2–3 biscotti dentro un contesto strutturato (proteine, fibre, carboidrati base) e ti godi quel momento senza che diventi una valvola di sfogo, per te lì quel cibo può essere “vero”: funziona, ti soddisfa, non ti manda in tilt.

Cibo vero, quindi, non è solo questione di etichetta, ingredienti o macro. È: “Questo cibo, qui e ora, risponde al bisogno che ho, o sto solo tappando un buco?”

3. C’è una differenza tra cibo che ti aiuta a fermarti e cibo che ti trascina

Ci sono alimenti con cui ti è facile fermarti: mangi, ti senti soddisfatta/o, la voglia si spegne in modo naturale. Altri con cui “ti trovi un biscotto in mano” ogni volta che passi in cucina.

La differenza spesso non è solo di forza di volontà, ma di come il cibo è disegnato e di che ruolo gli dai:

  • alcuni prodotti industriali sono costruiti per massimizzare croccantezza, dolcezza, cremosità, scioglievolezza;

  • molte combinazioni grassi–zuccheri–sale parlano direttamente al sistema della ricompensa;

  • se li tieni sempre in vista e li usi come soluzione standard a noia, stress, tristezza, diventa normale che “tirino la corda” più di te.

“Cibo vero”, qui, è quello che non ha bisogno di combattere con te per essere usato, perché non ti trascina oltre il punto di abbastanza.

4. Le etichette “sano”, “integrale”, “proteico” non sono scudi emotivi

“Integrale”, “ai cereali”, “low fat”, “ricco di fibre”, “senza zuccheri aggiunti” possono avere un’utilità reale. Il problema nasce quando diventano un mantello di innocenza.

Se vivi i biscotti integrali come “quasi verdura”, rischi di:

  • sottostimare quanto ne mangi davvero;

  • usarli ovunque “tanto sono sani”;

  • sentire meno il campanello interno che ti direbbe “ok, qui ci siamo”.

Il risultato è che fai esattamente ciò che volevi evitare con i biscotti più goduriosi: perdi contatto con i segnali e con il ruolo che quel cibo sta giocando.

“Cibo vero”, in questa chiave, è quello che non ha bisogno di travestirsi da superfood per essere messo nella tua giornata.

5. Le categorie “cibo vero/non vero” sono strumenti, non identità

Il modo in cui nomini le cose non è neutro.

Se “cibo vero” diventa sinonimo di “ciò che mangio quando sono brava/o” e “cibo non vero” = “ciò che mangio quando fallisco”, hai creato una nuova dieta mentale, solo con vocaboli più cool.

Cibo vero, per come lo intendiamo qui, è una lente di osservazione, non un tribunale. Ti aiuta a:

  • vedere quanto del tuo cibo serve davvero i tuoi bisogni;

  • capire dove stai usando il cibo come anestetico standard;

  • decidere consapevolmente dove ti va di tenerti qualche spazio di puro godimento.

Appena senti che “cibo vero/non vero” si stanno trasformando in “io competente/io fallita/o”, è il momento di rinegoziare le etichette.

Cosa dicono le evidenze

Non serve una teoria filosofica per dire che biscotti, snack e dolci possono sfuggire di mano. Ma è utile sapere cosa raccontano i dati quando guardi non il singolo biscotto, ma la dieta nel tempo.

Ultra–processati: il problema è la quota, non il singolo assaggio

Grandi studi osservazionali su centinaia di migliaia di persone mostrano che più alta è la quota di alimenti ultra–processati nella dieta, più aumentano, nel tempo, il rischio di alcune malattie e la mortalità.

Non parliamo di “se mangi un biscotto muori”: parliamo di diete in cui una fetta enorme delle calorie arriva da prodotti confezionati, pronti, iper–palatabili, usati come base di tutto (colazioni, snack, pranzi veloci, cene).

La direzione è chiara: meno vivi di ultra–processati, meglio è per il corpo, soprattutto se al loro posto entrano pasti semplici con proteine decenti, fibre, grassi di qualità.

Cibi iper–palatabili: quando il design supera la volontà

Alcuni lavori hanno dato una definizione quantitativa di “cibi iper–palatabili”: prodotti con combinazioni specifiche di grassi, zuccheri, carboidrati raffinati e sale che li rendono particolarmente difficili da lasciare nel piatto.

Tra le cose che emergono:

  • una fetta impressionante degli alimenti confezionati rientra in queste categorie;

  • anche una parte dei prodotti “light”, “low fat”, “senza zuccheri” può essere comunque disegnata per spingerti a mangiarne di più;

  • in contesto di dieta reale, chi ha una quota alta di questi cibi tende a fare più fatica a restare in un range calorico stabile.

Non serve farsi il calcolo ossessivo di ogni nutriente: ti basta capire che alcuni prodotti sono stati progettati per vincere quella partita, e che quindi non sei tu “scarica/o di disciplina” se ti parlano più forte.

Effetto “health halo”: quando l’integrale ti frega

Studi su etichette e percezione mostrano che il solo vedere claim come “bio”, “integrale”, “low fat”, “senza zuccheri aggiunti” porta molte persone a:

  • percepire il prodotto come più sano di quanto sia;

  • sottostimare le calorie;

  • sentirsi più autorizzate a mangiarne quantità maggiori.

In pratica: il biscotto integrale può essere quasi gemello del biscotto godurioso, ma la tua testa lo legge come “quasi verdura”, e si rilassa troppo.

Bianco/nero sul cibo: quando la categoria ti si rivolta contro

Esiste un filone di ricerca sul pensiero dicotomico legato al cibo: il modo in cui dividiamo alimenti e comportamenti in “buoni” e “cattivi”.

Quello che si vede è che:

  • più il pensiero è rigido (“o perfetta/o o fallita/o”),

  • più aumentano episodi di “tanto ormai”, abbuffate e compensazioni,

  • più è difficile mantenere abitudini decenti nel lungo periodo.

Per questo, anche se la lente “cibo vero/non vero” può aiutare a orientarti, va maneggiata come strumento, non come legge morale.

“Cibo vero”, in pratica

Qui scendiamo dal piano delle idee e torniamo nel piatto.

1. Guarda una tua settimana reale, non il giorno perfetto

Prendi una settimana normale (non quella ideale) e osserva, senza giudicarti:

  • quando usi cibi molto goduriosi (biscotti, gelati, snack, dolci, fast food…);

  • se compaiono soprattutto:

    • dopo giornate pesanti;

    • quando sei annoiata/o o sfinita/o;

    • in automatico, sempre negli stessi momenti;

  • che ruolo hanno: completano un pasto che regge, o sostituiscono spesso il pasto stesso?

Il punto non è togliere tutto, ma vedere se sono al servizio della tua vita o se stanno facendo straordinari.

2. Scegli cosa consideri “cibo base” e cosa “cibo goduria”

Invece di dividere il mondo in “cibo vero/finto” in modo assoluto, prova a lavorare così:

  • cibo base: ciò che usi per la maggior parte dei pasti di tutti i giorni;

  • cibo goduria: ciò che usi per piacere, comfort, coccola, rituale.

Dentro il cibo base puoi avere sia cose molto semplici (uova, pane, yogurt, frutta, legumi, carne, pesce, verdure, riso, patate…) sia piccole quote di prodotti confezionati che ti aiutano a reggere la struttura (un po’ di pane in cassetta, cereali per colazione, qualche biscotto).

Il punto è che il cibo goduria non mangi tutto lo spazio del cibo base.

3. Usa “cibo vero” come domanda, non come giudizio

Invece di pensare “questo è cibo vero / questo no”, puoi porti una domanda più utile:

“Questo cibo, qui e ora, è al servizio di me o io sono al servizio del cibo?”

Qualche esempio:

  • 2–3 biscotti a fine pranzo, dentro un pasto con proteine, verdure e carboidrati → per molte persone possono essere cibo vero in quel contesto: aiutano a chiudere il pasto, tolgono la sensazione di “mi manca qualcosa” e non portano a un loop.

  • 2–3 biscotti mangiati ogni volta che passi in cucina, direttamente dal pacco, mentre scrolli il telefono → qui siamo più vicini al cibo che ti usa.

La sostanza è la stessa. Cambia il ruolo.

4. Riporta un po’ di cucina in casa, se puoi

Non serve trasformarti in chef. Ma se tutto ciò che mangi arriva sempre già pronto, è più facile:

  • perdere contatto con quantità e ingredienti;

  • cadere nel “apro e risolvo” per ogni emozione scomoda;

  • vivere il cibo sempre come pacchetto da consumare, non come processo.

Anche una sola mossa – prepararti tu la colazione, cucinare in anticipo 1–2 pasti base, ridurre i “pasti da pacchetto” a favore di piatti semplici – può spostare parecchio.

Qui “cibo vero” è anche il cibo su cui hai messo almeno un po’ le mani, non solo il cibo con una certa percentuale di integrale sull’etichetta.

5. Lascia spazio a qualche “cibo non vero” consapevole

Se provi a fare 100% cibo vero, di solito succede questo:

  • per un po’ reggi a forza di entusiasmo e controllo;

  • quando la vita alza il volume (stress, fatica, casini), l’asticella perfetta diventa insostenibile;

  • un giorno si rompe qualcosa e vai in direzione opposta: “tanto ormai”.

Molto meglio dichiarare da subito che una piccola quota di “cibo non vero” (per come lo definisci tu) ha diritto di cittadinanza:

  • può essere un tot di momenti a settimana;

  • può essere un alimento preciso a cui tieni;

  • può essere legato a contesti sociali a cui non vuoi rinunciare.

La differenza tra un modo di mangiare sostenibile nel tempo e l’ennesima dieta travestita sta anche qui: non ti promette purezza, ti insegna gestione.

Segnali da osservare (e quando fermarti)

Segnali che il rapporto con “cibo vero/non vero” sta funzionando

  • Riesci a inserire cibi molto goduriosi dentro i pasti senza sentire il bisogno di “recuperare” dopo.

  • I biscotti/gelati/snack non sono più la tua unica risposta standard a stress, noia, tristezza.

  • Non ti definisci più “brava/o” o “pessima/o” in base a quanto “cibo vero” hai mangiato in un giorno.

  • Riesci a dire “oggi mi va proprio quel cibo super non vero” senza sentirti in colpa per tre giorni.

Segnali che la categoria ti sta stringendo alla gola

  • Ti trovi a controllare ogni ingrediente con ansia, ma poi esplodi in episodi di “tanto ormai”.

  • Passi da settimane rigidissime a periodi in cui ti sembra di aver perso completamente il volante.

  • Eviti situazioni sociali perché “lì non c’è cibo abbastanza vero per me”.

  • Pensi spesso “non ho autocontrollo”, “non ce la farò mai” solo perché non rispetti uno standard perfetto di “cibo vero”.

Se ti riconosci qui, la soluzione non è ancora più controllo, ma rendere più gentili e realistiche le tue categorie, magari con l’aiuto di una/o Psicologa/o o di un’altra figura competente se senti che la sofferenza è alta.

FAQ Cibo vero

Se un alimento è ultra–processato, è automaticamente “cibo non vero”?
No. “Ultra–processato” è una categoria utile per orientarsi, ma non è un timbro di colpa. Un gelato confezionato, una brioche al bar o dei biscotti industriali possono avere un posto nella tua settimana e, in certi contesti, fare davvero il loro lavoro.

Ma allora dovrei ignorare completamente ingredienti ed etichette?
Neanche. Guardare ingredienti ed etichette ti aiuta a capire quanto un prodotto è vicino al cibo base o al cibo goduria. Il punto è non usare le etichette come scudo emotivo (“è integrale, quindi posso esagerare”) né come arma per giudicarti.

Posso considerare “cibo vero” un dolce super godurioso dopo una giornata pesante?
Dipende da come lo usi. Se diventa l’unico modo che hai per sopravvivere allo stress, nel tempo ti presenta il conto. Se fa parte di un repertorio più ampio di modi per prenderti cura di te, e lo scegli con lucidità, può avere un ruolo reale e “vero”.

Come faccio a non trasformare “cibo vero/non vero” nell’ennesima dieta mentale?
Controlla come parli di te. Se da “oggi ho mangiato più cibo non vero” passi facilmente a “sono uno schifo”, stai usando la categoria contro di te. In quel caso è più utile tornare a domande concrete: cosa mi ha aiutato oggi? cosa mi ha incasinato? cosa posso rendere un filo più facile domani?

Che differenza c’è tra questa idea e il classico “clean eating”?
Il “clean eating” spesso crea un mondo in cui alcuni cibi sono puri e altri sporchi. Qui non stiamo lavando la coscienza: stiamo guardando se il cibo che scegli funziona davvero per il tuo corpo, la tua testa e la tua vita, dentro un sistema che include anche allenamento, sonno, stress, relazioni, piacere.

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